Pagina:Le confessioni di un ottuagenario II.djvu/229

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capitolo decimosesto. 221

— Qui, — soggiunse egli, — qui stasera a prima giunta, trovandovi abbracciati insieme, quei sospetti finirono di travolgermi la ragione!... Mio Dio! quale sventura! Dico sventura, perchè non ne avreste avuto colpa, e tuttavia sono fatalità che come i delitti più tremendi lasciano nell’anima eterni rimorsi... Mi capite ora, Carlo... Io era pazzo!

Infatti io rabbrividii figurandomi quanto egli avrebbe dovuto soffrire.

— Pure non ci svelaste nulla! — io replicai. —

— Oh fu un momento, fu un momento che tutto fui per isvelare! così credeva che mi sarei vendicato!

— E vi tratteneste?

— Per compassione, Carlo, per giustizia mi trattenni! Se il male era già avvenuto, perchè punir voi innocenti? Meglio era ch’io partissi recando altrove la mia disperazione, la mia gelosia, e lasciando a voi la felicità, piuttostochè cambiarla in un rimorso irreparabile!...

— Oh Spiro! quanto eravate generoso! — io sclamai. — Un’anima come la vostra, più che l’amore e la gratitudine comanda l’ammirazione!...

L’Aglaura piangeva a caldi occhi stringendomi il braccio con una mano, e guardando forse Spiro tra le dita dell’altra.

— Ditemi ora dove foste per tutte queste ore? — io richiesi volgendomi a Spiro.

— Prima di tutto fui all’aperto, all’aria libera a respirare, a chiedere ispirazione da Dio; indi come il cuore mi consigliava tornai in questa casa, interrogai i padroni i portinai... Oh ci volle poco, Carlo, ci volle poco perchè mi ricredessi!... Quel vapore di disperazione s’era disciolto; già mi pareva impossibile che Dio permettesse colle sembianze dell’innocenza una tanta nefandità. Quando poi udii la vita che voi menavate qui proprio come fratello e sorella, semplice modesta riservata! quando udii i delicati riguardi