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230 le confessioni d’un ottuagenario.

grande. Restò stupito, soffocato, dimenticato quasi. Che può essere infatti l’infelicità d’un uomo in cospetto del lutto d’un’intera nazione?... Io ritrovava quasi una pace stanca, una mestizia senza amaritudine, contemplando gli avanzi fulminati della gran caduta: sopra di essi mi parevano giuochi e freddure le pompe, le minutaglie dei secoli cristiani. Solo nelle catacombe vagolava uno spirito di fede e di martirio, che sublimava il Cristianesimo sopra i grandiosi sepolcri pagani. Io mi curvava tremebondo sotto quelle sante memorie di sacrifizio e di sangue; e le torture, e le flagellazioni, e i vituperi, e gli strazii, e le morti lietamente sofferte per un’idea ch’io ammirava senza comprenderla, impiccolivano agli occhi miei quella soma d’affanni, ch’io mi dava ad intendere di non poter trascinare. Nell’emulazione dei grandi sta la redenzione dei piccoli.

Peraltro se il vivere nella Roma antica dei consoli e dei martiri mi dava qualche conforto, la Roma d’allora invece mi empieva di rammarico e quasi di spavento. Il Papa se n’era andato senza scherni e senza plauso; perchè avendo dovuto rimettere molto della pompa e della magnificenza colle quali era solito vivere, il popolo non si accorgeva più di lui. Dallo splendore della corte e della cerimonia, più che dalla virtù e dalla santità della vita, si misurava l’eccellenza del principe del Cristianesimo. Una confusione di cose venerabili per religione e per età ladramente vituperate, di schifezze levate a cielo e splendidamente decorate, di stupidi superstiziosi, di vili rinnegati, di saccheggi e di carestie, di epuloni e di affamati, di frati cacciati dai conventi, di monache strappate dai loro ritiri, di cardinali inseguiti dai cavalleggieri, e di cavalleggieri scannati dai briganti; tutto andava a soqquadro, si rovesciava alla perdizione; giudice del bene o del male il talento annebbiato od illuso d’ognuno: un mescolarsi di re-