Pagina:Le confessioni di un ottuagenario II.djvu/267

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capitolo decimosettimo. 259

tri; voleva serbarsi fredda e contegnosa, ma quando le nostre labbra si toccarono, nè l’uno nè l’altra potemmo raffrenare l’impeto del cuore, ed io mi raddrizzai che tremava tutto, ed ella col viso irrigato di lagrime.

— Ci rivedremo! — mi gridò ella da lunge con uno sguardo pieno di fede.

Io risposi con un gesto di rassegnazione e m’allontanai. La Principessa di Santacroce, mandandomi pochi giorni dopo alcune lettere capitate per me a Napoli, mi scrisse d’un accesso di disperazione che avea menato la Pisana in fil di morte dopo la mia partenza. Ella si straziava furiosamente il petto e le guance, gridando che senza il mio perdono le era impossibile di vivere. La buona Principessa non diceva di sapere a qual perdono alludesse la poveretta, e così circondava di delicatezza le sue cure pietose; ma io non volli essere meno generoso di lei, e scrissi direttamente alla Pisana ch’io le chiedeva scusa del contegno freddo e superbo tenuto secolei negli ultimi mesi; che ben sapeva che quell’affettazione di fraterna amicizia equivaleva ad un insulto, e che appunto per questo reputandomi colpevole le offriva per riparazione tutto l’amor mio, più affettuoso più veemente più devoto che mai. Così sperava ridonarle la pace dell’animo anche a prezzo del mio decoro; di più, fingendo ignorare quanto la Principessa m’avea scritto, dava alle mie proteste tutto il colore della spontaneità. Seppi dappoi che quel mio atto generoso avea dato alla Pisana grandissimo conforto, e che si lodava sempre di me alla sua protettrice dichiarandomi l’uomo più magnanimo e amabile che si potesse trovare al mondo. Se la Principessa mi avesse raccontato tante belle cose per cooperare alla nostra piena riconciliazione, ancora io le sarei riconoscente di un grandissimo beneficio. Il soverchio sussiego nuoce verso le donne; e nel trattar con esse bisogna che le virtù stesse acquistino la morbidezza della