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272 le confessioni d'un ottuagenario.

per un pezzo ci seguirono gli evviva degli abitanti, usciti a salutare la nostra partenza. Si galoppò a quel modo un buon pajo di miglia, quando il rimbombo vicino del cannone ci fermò di botto in ascolto. Ognuno voleva dire la sua; in quel mentre uno dei nostri che ci veniva incontro a precipizio, senz’armi e senza cappello, sopra un cavallo sfiancato dal gran correre, ci tolse la sospensione. Una barca parlamentaria era entrata nel porto di Bisceglie. Gli abitanti vedendo che non erano turchi, ma sibbene russi capitanati dal cavalier Micheroux, generale di S. M. Ferdinando, che chiedevano sbarcare solamente per cacciar dal Regno i Francesi rimasti a Capua ed a Gaeta, s’erano messi a gridar evviva, e a gettar i fucili e a sventolare i fazzoletti. Millequattrocento russi erano sbarcati, e s’avviavano alla volta di Foggia per cogliervi la gente all’epoca della fiera, e spaventare ad un punto solo tutta la provincia. Io e Martelli ci consultammo con uno sguardo. Prevenire i Russi a Foggia, e metter la città in istato di difesa, era il piano più ovvio. Volgemmo dunque sulla destra per Ruvo ed Andria; ma all’entrata di quest’ultimo castello, fummo circondati da una folla armata e tumultuante. Era una masnada di Ruffo mandata a ricongiungersi coi Russi di Micheroux. Avvistici troppo tardi di esser caduti in quel vespajo, avemmo un bel menar le mani per cavarcela. Il Martelli con diecisette altri giunsero a fuggire; dieci rimasero morti; otto, fra i quali io, tutti più o meno feriti, fummo salvati per adornamento alle forche in qualche giorno festivo. Così diceva, al paragrafo dei prigionieri, il Codice militare di Ruffo.

La masnada di cui fui prigioniero era capitanata dal celebre Mammone; l’uomo più brutto e bestiale ch’io mi abbia mai conosciuto, il quale portava molte medagliette sul cappello, come la buon’anima di Luigi XI. Trascinato in coda e a piedi nudi, ed esposto a continui vitu-