Pagina:Le confessioni di un ottuagenario II.djvu/297

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capitolo decimottavo. 289

cevano infermo, avea dato il naso nell’amico. Tuttavia di noi tre lo stesso Bruto era il meno costernato. Egli rideva, cantava e si provava a camminare e a ballare sulla sua gamba di legno cogli attucci più grotteschi del mondo. Diceva soltanto che si pentiva di non aver tardato a perder la gamba fin nel tempo dell’assedio, che allora avrebbe potuto mangiarsela con molto piacere. Mi consolai d’averlo trovato, chè in qualche maniera poteva essergli utile. Infatti tutta la sua convalescenza egli la passò in casa nostra colla Pisana e con Lucilio, e schivò le noie e gli incommodi degli spedali militari.

A Genova rividi anche Ugo Foscolo, ufficiale della Legione lombarda, e fu l’ultima volta che stetti con lui sul piede dell’antica dimestichezza. Egli stava già sul tirato come un uomo di genio, si ritraeva dall’amicizia, massime degli uomini, per ottener meglio l’ammirazione; e scriveva odi alle sue amiche con tutto il classicismo d’Anacreonte e d’Orazio. Questo serva a provare che non si era sempre occupati a morire di fame, e che anche il vitto di cicoria nè spegne l’estro poetico nè attuta affatto il buon umore della gioventù.

A lungo andare peraltro l’estro poetico svaporava, e il buon umore andava appassendo. Una fava costò perfino tre soldi, e quattro franchi un’oncia di pane: a non voler mangiare che pane e fave c’era da rovinarsi in una settimana. Io non aveva in tutto me un ventimila lire tra denari sonanti e cedole austriache; ma di queste non era quello il luogo da ottenere il pagamento, e così tutto l’aver mio si riduceva a un centinaio di doble. Volendo curare la salute vacillante della Pisana e alimentarla d’altro che di zucchero candito e di sorci ci andava comodamente una dobla al giorno. Da ultimo fui ben fortunato di ricorrere al cavallo salato di Alessandro. Ma dàlli e dàlli, non ne rimasero che le ossa; e allora ci convenne far come tutti; vivere di pesce marcio, di fieno bollito quando si trovava,