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306 le confessioni d’un ottuagenario.

corso grave pericolo, così, e per ritrarla se è possibile dalla mala via in cui si è messa e per rispetto al nostro nome e alla memoria di mio fratello, ho cercato a tutt’uomo i mezzi di pagarla. Ho venduto quanto restava di mio nel podere lasciato da mio padre; le ho consegnato i danari e se n’è andata con Dio; ma il giovinetto sembrava molto premuroso di liberarla dall’incommodo di portare il sacchetto. Ho poi saputo che quel peculio le servì come dote per entrare in un istituto di Convertite novellamente aperto a Venezia, per cura di alcuni sacerdoti oscuri di nome, ma di amore cristiano e di onestissime intenzioni. Ella restò nel ritiro un mese, ma poi ne scappò, dicono, indemoniata; ed adesso ho grave timore che non la sia in peggiori condizioni di prima, perchè già il dono della dote era irrevocabile, e d’altra parte non l’era una tal somma da poterle assicurare una vita indipendente.

Ora voi sapete lo stato nostro, e presso a poco anche del paese. Faccio da padre all’Aquilina, amministro quei dieci campi che le sono rimasti e per me mi guadagno il vitto dando qualche lezione di calligrafia in paese, e in qualche buona famiglia che vuol forse palliare così una caritatevole elemosina. Le domeniche, Donato nostro cognato viene a prenderci colla carrettella e ci conduce a Fossalto a trovare la Bradamante che ha già tre ragazzini, il primo che sgambetta come una grù, e l’ultimo appeso ancora alla mammella. In onta alla mia gamba di legno io faccio grandi prodezze col primo, e insegno a camminare alla seconda, perchè la è una bambina abbastanza poltroncella per la sua età. Non so se questo sia uno stabilimento definitivo, o un ripiego per miglior fortuna, o una tregua per peggiori disgrazie. So che ho fatto il mio dovere, che lo farò sempre, che se ho preso qualche deliberazione precipitata si fu perchè una voce mi chiamava, e infatti le opere mie non hanno mai fatto torto a quelle deliberazioni. Infine le