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318 le confessioni d’un ottuagenario.

e svelti per correre di qua e di là, e non mancare al gentil desiderio di nessuno. Si mangia più a Bologna in un anno che a Venezia in due, a Roma in tre, a Torino in cinque, ed a Genova in venti. Benchè a Venezia si mangia meno in colpa dello Scirocco, e a Milano più in grazia dei cuochi. Quanto a Firenze, a Napoli, a Palermo, la prima è troppo smorfiosa per animare i suoi ospiti alle scorpacciate, e nelle altre due la vita contemplativa empie lo stomaco per mezzo dei pori, senza affaticar le mascelle. Si vive coll’aria, impregnata dell’olio volatile dei cedri e del fecondo polline dei fichi. Come ci sta poi col resto la question del mangiare? Ci sta a pennello perchè la digestione lavora in ragione dell’operosità e del buon umore. Una pronta e svariata conversazione che scorra sopra tutti i sentimenti dell’animo vostro, come la mano sopra una tastiera, che vi eserciti la mente e la lingua a correre, a balzare di qua e di là dove sono chiamate, che ecciti che sovrecciti la vostra vita intellettuale, vi prepara meglio al pranzo, di tutti gli assenzi e di tutti i Vermutti della terra. Il vermuth han fatto bene a inventarlo a Torino, dove si parla e si ride poco, fuori che alle Camere: del resto quando l’hanno inventato non avevano lo Statuto. Ora dell’attività ce n’è, ma di quella che aiuta a fare, non di quella che stimola a mangiare. Fortuna per chi spera in bene, e pei fabbricatori di vermuth.

Ad onta di tutte queste chiacchiere che infilzo adesso, la Pisana allora non faceva mostra per nulla di voler tornare; e Bologna perdeva a poco a poco il merito di stuzzicarmi l’appetito. Un amore lontano per un intendente di ventott’anni, non è disgrazia da metterla in burla. Passi per un mese o due; ma otto, nove, quasi un anno! Io non aveva fatto nessuno dei tre voti monastici e doveva osservarne il più scabroso. Capperi! come vi veggo ora rider tutti della mia ingenuità... Ma non voglio ritrattarmi