Pagina:Le confessioni di un ottuagenario II.djvu/33

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capitolo decimoprimo. 25

capo della cosa pubblica uno che ami il proprio paese, e non scenda a patti coi suoi nemici.

— Oh sì! padre mio, lo credo!

— Animo dunque, Carlino! Stasera il signor Lucilio ti parlerà più chiaro. Allora intenderai, vedrai, deciderai. Tienti daccosto a lui. Non tentennare, non indietreggiare. Chi ha cuore e coscienza dee farsi innanzi coraggiosamente, generosamente, non per proprio orgoglio ma per l’utilità di tutti.

— Non temete, padre mio. Mi farò innanzi.

— Basta per ora che tu ti lasci spingere. Intanto siamo intesi. Tu sarai spalleggiato dai nobili, ed hai il favore dei democratici: la fortuna non può fallirti. Io vado dal signor Villetard, per mettere in ordine qualche ultima clausola. Ci rivedremo stasera.

Dopo un tale colloquio io rimasi tanto strabiliato e perplesso, che non sapeva a qual muro dare del capo. Il maggior malanno si era che ci intendeva ben poco. Io salire ai primi posti, al più alto seggio forse della Repubblica?... Che cosa volevan dire cotali sogni? — Certo mio padre avea recato seco dall’Oriente qualche volume di appendice alle Mille e una notte. E che cosa volevan dire quelle sue vaghe parole di rivoluzione, di clausole, di che so io? — Il signor Villetard era un giovine segretario della legazione francese, ma quale autorità aveva il mio signor padre d’ingerirsi con lui in faccende di Stato? — Più ci pensava, e più i miei pensieri volavano fra le nuvole. Non ne sarei disceso più, se non veniva Lucilio a orizzontarmi. Egli m’invitò a seguirlo in un luogo ove si aveva a deliberare sopra cose importantissime al pubblico bene: nel calle ci unimmo ad altre persone sconosciute che lo aspettavano, e tutti insieme prendemmo via verso uno dei sestieri più deserti della città, dietro il Ponte dell’arsenale. Dopo una camminata lunga, sollecita e silenziosa, entrammo in un casone bujo e