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Pagina:Le confessioni di un ottuagenario II.djvu/332

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324 le confessioni d’un ottuagenario.

proporglisi per compagna nel ritorno. Quell’assassino non disse nulla; non rispose nemmeno ch’egli era venuto espressamente per ciò. Volle lasciarmi nella credula illusione ch’egli avesse trottato da Venezia a Bologna per la curiosità di veder San Petronio. Ma io gli avea letto negli occhi fin dal primo sguardo; e mi arrabbiai di vederlo riescire nel suo intento senza pur l’incommodo di una parola. Che dovesse esser più destro e potente in politica donnesca un topo di libreria, sudicio, unto e cisposo, che un amante bellino, giovine ed intendente? — In certi casi sembra di sì: io rimasi a soffiare ed a mordermene le dita.

Mi rimisi dunque al fatto mio di schiena; per isvagarmi se non altro dalla noia che mi tormentava. E lavorando molto, e dimenticando il più che poteva, diventai a poco a poco un altr’uomo; sta a voi a decidere se migliore o peggiore. M’andarono svaporando dal capo i fumi della poesia; cominciai a sentir il peso dei trent’anni che già stavano per piombarmi addosso, ed a fermarmi volentieri a tavola ed a dividere l’amore che sta nell’anima da quello che solletica il corpo. Scusate; mi pare di avervi detto che mi faceva altr’uomo; ma la mia opinione si è che mi veniva facendo bestia. Per me chi perde la gioventù della mente non può che scadere dallo stato umano a qualche altra più bassa condizione ammalata. La parte di ragione che ci differenzia dai bruti non è quella che calcola il proprio utile, e procaccia i commodi e fugge la fatica, ma l’altra che appoggia i proprii giudizi alle belle fantasie e alle grandi speranze dell’anima. Anche il cane sa scegliere il miglior boccone, e scavarsi il letto nella pagina prima di accovacciarvisi; se questa è ragione, date dunque ai cani la patente di uomini di proposito. Peraltro vi dirò che quella vita così miope e bracciante aveva allora una scusa; c’era una grande intelligenza che pensava per noi, e la