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406 le confessioni d’un ottuagenario.

trovatomi indosso. Risposi adunque che non per altro che per questo era venuto; e che essendomi soffermato a salutare il general Pepe, il mio cattivo destino m’avea tirato addosso quel brutto accidente. Fu dunque come non si fosse parlato; ma io colsi la buona occasione per pregare quei compiti signori di voler mandare alla mia famiglia quell’atto di morte nonchè il mio, perchè fossero tolti se non altro, a loro vantaggio gli scrupoli un po’ spilorci della Porta Ottomana.

Quei signori sogghignarono a questo discorso, immaginandosi forse ch’io lo avessi fatto per darmi a diveder pazzo; ma io soggiunsi col miglior sorriso del mondo, che facessero l’onore di credere al mio miglior senno, e che tornava a pregarli di quella cortesia. Dettai anzi ad uno di essi l’indirizzo di Spiro Apostulos a Venezia, e dell’Aquilina Provedoni Altoviti a Cordovado nel Friuli. Dal che essi furono persuasi che non celiava e mi promisero che sarebbe fatto secondo la mia volontà. Dimandai anche quando io sarei uscito di prigione per la cerimonia, giacchè marciva là dentro da tre mesi, e mi pareva un onesto mercato quello di pagar colla vita una boccata d’aria libera. Saputo poi che l’esecuzione era stabilita pel terzo giorno e che sarebbe avvenuta nelle fosse del castello, me ne imbronciai alquanto. Dover morire essendo a Napoli, e senza poterlo rivedere! Confessate che la era un po’ dura.

Tuttavia, partiti ch’essi furono, mi racconsolai del mio meglio. Dissi fra me e me che quegli ultimi giorni non doveva perderli in frivolezze e in vani desideri, e che il meglio si era prender la morte sul grave, e dare un esempio di grandezza d’animo almeno ai carnefici. I buoni esempi parlano colle bocche di tutti, e giovano sempre; e il boia fece sovente maggior danno col parlar poi, che non avea recato vantaggio coll’impiccare.