Pagina:Le confessioni di un ottuagenario II.djvu/437

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capitolo ventesimo. 429

varono annegato. Ma si credette che i troppi bicchierini d’acquavite ingollati ne avessero per lo meno tanta colpa quanto gli spiriti. Così terminò un uomo, che sarebbe diventato un eroe se... Perdono! dopo questo se, bisognerebbe vi raccontassi tutti i perchè della nostra storia dal trecento in seguito. Val meglio troncar il periodo.

Il conte Rinaldo avea fatto atterrare un altro pezzo del castello di Fratta; e Luciano e la Bradamante aveano seppellito senza grandi lagrime il signor capitano, per le settecento lire di usufrutto che ne ereditarono.

— Appunto, si conserva bene Donato? — chiese la Pisana.

— Figuratevi, come un giovinotto; — rispose Bruto — non ha nè un capello grigio, nè una ruga sul viso. Non par nemmeno uno speziale.

— Oh gli era davvero il più bel giovane che si potesse vedere! — soggiunse l’altra. — A’ miei tempi gli ho voluto bene anch’io più che ad ogni altro.

Io troncai quel discorso perchè non mi piaceva, ed anche per chiedere più larghe informazioni intorno a mia sorella, la quale mi avevano annunciato esser partita per la Grecia a raggiungervi Spiro il marito, ma non m’avevano detto di più.

— A proposito di tua sorella; — soggiunse Bruto — non avesti una sua lettera ch’era per te a Venezia, e che noi ti abbiamo spedita di colà?

— Non l’ebbi — rispos’io; infatti non ne sapeva nulla.

— Allora la si sarà smarrita per via; — riprese Bruto — ma dal carattere e da chi la portava, che era un mercante greco, io l’avea giudicata ed era dell’Aglaura.

Un cotal incidente mi spiacque assaissimo; ma pochi giorni dopo quella lettera mi capitò un po’ guasta nel suggello e negli angoli. Non avrò il coraggio nè di darla a brani nè di spremerne il succo. Eccola tal quale.