Pagina:Le confessioni di un ottuagenario II.djvu/439

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capitolo ventesimo. 431

Giunta appena trovai mio figlio Demetrio, che tornava colle navi di Canaris dall’aver abbruciato a Tenedo la flotta turca. Colà le flotte cristiane d’Europa stavano contro di noi; la croce alleata della mezzaluna contro la croce! Dio disperda gli infedeli e i rinnegati prima di loro. Demetrio aveva abbrustolita una guancia e mezzo il petto dalla fiamma della pece; ma il mio cuore materno lo riconobbe; egli ebbe fra le mie braccia la ricompensa degli eroi, la gloria di veder insuperbire a diritto la madre. Spiro e Teodoro chiusi in Argo con Ipsilanti, attendevano a frenare il torrente dei Turchi mentre Colocotroni e Niceta tagliavano loro la ritirata alle spalle coll’insurrezione dei montanari.

Oh Carlo! fu un bel giorno quello in cui tutti quattro ci riabbracciammo là sulle soglie quasi del Peloponneso, libero affatto da’ suoi nemici. Si affortificava Missolungi, e Napoli di Romania era nostro. La marina aveva un porto, il governo una rocca, e la Grecia trionfa al pari della barbara tirannia di Costantinopoli, e delle venale inimicizia delle flotte cristiane. Omai qualunque nave porti ai Turchi armi, viveri, munizioni, sarà passata per le armi; la barbarie otterrà forse quello che non ottennero gloria, eroismo, sventura.

Qui ogni interesse privato scomparisce affatto, e si confonde al comune. Si possiede quello che non abbisogna alla patria, e lo si serba a lei pei bisogni della domane; si gode de’ suoi trionfi, si soffre de’ suoi dolori. Perciò non ti parlo in particolare di noi. Basterà dirti che ad onta delle fatiche io non peggioro nella salute e che Spiro guarisce delle ferite guadagnate sulle mura di Argo. Teodoro ha combattuto come un leone; tutti lo citano e lo additano per esempio; ma un’egida divina lo protesse e non ebbe la minima scalfittura. Quand’io passeggio per le strade d’Atene, ove abitiamo in questo momento di tregua, ed ho uno per parte i miei due figliuoli abbronzati dal sole del