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36 le confessioni d'un ottuagenario.

pavoneggiarmi dinanzi alla Pisana colle mie future splendidezze, e lasciava travedere che nel nuovo governo ci sarebbe stato un bel seggio anche per me.

— Davvero, Carlino? — mi chiese cheta cheta la donzella. — Ma non siamo intesi che dobbiate metter sul trono l’eguaglianza? —

Io alzai le spalle dispettosamente. Andate dunque a filosofeggiare con donne! Non so peraltro se tacqui per disdegno, o per non sapere che cosa rispondere. Il fatto sta che per quella sera l’ambizione scavalcò affatto l’amore, e che mi partii dalla Pisana, che non avrei nemmen saputo dire di qual colore avesse gli occhi. Salutai Giulio soprappensiero in Frezzeria, e m’avviai soletto e ballonzolando d’impazienza per la riva degli Schiavoni. Mi ricorderò sempre di quella sera memorabile dell’undici maggio!... Era una sera così bella, così tiepida e serena, che parea fatta pei colloquii d’amore, per le solinghe fantasie, per le allegre serenate e nulla più. Invece fra tanta calma di cielo e di terra, in un incanto sì poetico di vita e di primavera una gran Repubblica si sfasciava, come un corpo marcio di scorbuto; moriva una gran regina di quattordici secoli senza lagrime, senza dignità, senza funerali. I suoi figliuoli o dormivano indifferenti, o tremavano di paura; essa, ombra vergognosa, vagolava pel Canal Grande in un fantastico bucintoro, e a poco a poco l’onda si alzava, e bucintoro e fantasma scomparivano in quel liquido sepolcro. Fosse stato almeno così!... Invece quella morta larva rimase esposta per alcuni mesi, tronca e sfigurata, alle contumelie del mondo; il mare, l’antico sposo, rifiutò le sue ceneri; e un caporale di Francia le sperperò ai quattro venti, dono fatale a chi osava raccoglierle! Ci fu un momento ch’io alzai involontariamente gli occhi al Palazzo Ducale, e vidi la luna che abbelliva d’una vernice di poesia le sue lunghe loggie e i bizzarri finestroni. Mi pareva che migliaja di te-