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464 le confessioni d’un ottuagenario.

lebrano con pompa sì lugubre e spaventosa al letto degli agonizzanti, non alterarono per nulla il suo aspetto sereno.

Tornò poi ad intrattenersi con noi, a ringraziare Lucilio delle sue cure, l’Aquilina e Bruto della loro amicizia, a benedire i miei figli pregandoli di ubbidire e di imitare i loro genitori. Mi prese poi per mano, e non volle più che mi scostassi dal suo letto nemmeno per prendere una tazza di cordiale che stava sopra l’armadio, e che le fu avvicinata alle labbra dall’Aquilina. Essa la ringraziò d’un sorriso, indi si rivolse a me soggiungendomi all’orecchio: «Amala, sai, amala, Carlo! Te l’ho data io!» Non ebbi fiato di risponderle, ma accennai col capo di sì; nè ho mai dimenticato quella promessa, e l’Aquilina stessa avrebbe potuto attestarlo, per quanto alcune disparità d’opinione abbiano inasprito in appresso i nostri temperamenti.

Di momento in momento il respiro della Pisana diveniva più raro ed affannoso; mi stringeva sempre più forte la mano, sorridendo ad ora ad ora a ciascuno di noi; ma quando toccava a me era un’occhiata più lunga ed intensa. E se ne stoglieva per guardar di nuovo l’Aquilina; quasi le chiedesse perdono di quegli ultimi contrassegni d’amore. Proferiva di tanto in tanto qualche parola, ma la voce le veniva mancando; io mi sentiva mancare insieme a lei, e subito collo sguardo ella mi inanimava a ricordarmi di quanto le aveva promesso.

— Eccomi! — diss’ella ad un tratto con voce più forte del solito. E volle sollevarsi dal guanciale, ma ricadde più stanca che abbattuta, e sorridendo di quello sforzo impotente. — Eccomi! — mormorò una seconda volta; poi volgendosi a me soggiunse: — Ricordati: ti aspetto!... —

Io sentii un brivido passarmi per mezzo il cuore: era