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40 le confessioni d'un ottuagenario.

presagii funesti. Oh è ben duro il sonno della morte, se non si svegliarono allora, se non uscirono dai loro sepolcri gli eroi, i dogi, i capitani dell’antica Repubblica!...

Il Doge s’alzò in piedi pallido e tremante, dinanzi alla sovranità del Maggior Consiglio di cui egli era il rappresentante, e alla quale osava proporre una viltà senza esempio. Egli avea letto le condizioni proposte dal Villetard per farsi incontro ai desiderii del Direttorio Francese, e placar meglio i furori del generale Bonaparte. Le approvava per ignoranza, le sosteneva per dappocaggine, e non sapeva che il Villetard, traditore per forza, aveva promesso quello che nessuno aveva in animo di mantenere: Bonaparte meno di tutti gli altri. Lodovico Manin balbettò alcune parole sulla necessità di accettare quelle condizioni, sulla resistenza inutile, anzi impossibile; sulla magnanimità del general Bonaparte, sulle lusinghe che si avevano di fortuna migliore per mezzo delle consigliate riforme. Infine propose sfacciatamente l’abolizione delle vecchie forme di governo, e lo stabilimento della democrazia. Per la metà di un tale delitto Marin Faliero era morto sul patibolo; Lodovico Manin seguitava a disonorare coi suoi balbettamenti sè, il Maggior Consiglio, la patria, e non vi fu mano d’uomo che osasse strappargli dalle spalle il manto ducale, e stritolare la sua testa su quel pavimento, dove avevano piegato il capo i ministri dei Re e i legati dei Pontefici! — Io stesso ne ebbi pietà; io che, nell’avvilimento e nella paura d’un Doge, non vedeva altro allora che il trionfo della libertà e dell’eguaglianza.

Tutto ad un tratto rimbombano alcune scariche di moschetteria: il Doge si ferma costernato, e vuol discendere i gradini del trono; una folla di patrizi spaventata se gli accalca intorno gridando: alla parte! ai voti! — Il popolo urla di fuori; di dentro crescono la confusione e lo sgomento. Sono gli Schiavoni ribelli! (gli ultimi partivano