Pagina:Le confessioni di un ottuagenario II.djvu/525

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capitolo ventesimosecondo. 517

vare un editore per la storia critica del commercio veneto. Gli capitò in mente che farsi raccomandare da qualche uomo già noto nella letteratura e nelle scienze poteva giovargli assai; ma siccome non conosceva alcuno si consultò intorno a questo partito col cavalier Frumier. Figuratevi che bazza! Il cavaliere, dopo la morte della dama Dolfin, non aveva più racquistato l’uso dei sensi, e a parlare a lui di letterati e di scienziati, era lo stesso come farsi narrare la storia letteraria del secolo scorso. Egli non veniva più in qua dell’abate Cesarotti e del conte Gaspare Gozzi; sicchè diede assai scarso conforto al cugino. Il conte Rinaldo allora deliberò di fare da sè, e cominciò a vendere tutto quello che aveva ancora di vendibile per cominciare se non altro la stampa; dopo dati alla luce i primi fascicoli confidava nel favore del pubblico che non poteva mancare ad un’opera di decoro patrio e di alta importanza storica. La signora Clara bevette d’allora in poi un più moderato numero di caffè, egli si tolse perfino il pane di bocca per raggranellare più presto quelle cinquecento lire che abbisognavano alla stampa dei quattro primi capitoli. Come poi le ebbe in tasca, andò dal tipografo, e senza pur contrattare, le depose sul banco dicendo trionfalmente: stampatemi più che potete del mio manoscritto.

— In qual sesto lo comanda, quante copie ne desidera, vuol distribuire schede d’associazione o farne senza? — chiese lo stampatore.

Tutte cose delle quali Rinaldo non s’intendeva un’acca. Ma fattosi dichiarare ogni cosa pel minuto, rimasero d’accordo che si sarebbero sparse per tutta Italia quattromila schede di associazione con quattro parole d’invito, contenenti i sommi capi dell’opera, e che si sarebbero stampate mille copie del primo fascicolo in ottavo grande. Il Conte tornò a casa che non toccava coi piedi il selciato; e le tre settimane che impiegò a correre dalla casa alla stam-