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CAPITOLO DECIMOSECONDO
Nel quale dopo un patetico addio alla spensierata giovinezza si comincia a vivere ed a pensare sul serio: ma pur troppo non ebbi il vento in poppa. — Fin d’allora era pericoloso fidarsi alle promesse degli ospiti che volevano farla da padroni: ma gli ospiti, se non altro, furono benemeriti di averci dato la sveglia. — Nel frattempo la Clara si fa monaca, la Pisana si marita con S. E. Navagero, ed io seguito a scriver protocolli. — Venezia cade la seconda volta in punizione della prima, e i patrioti si ricoverano sbucando nella Cisalpina. — Io resto, a quanto sembra, per far compagnia a mio padre.
Addio fresca e spensierata giovinezza, eterna beatitudine dei vecchi numi d’Olimpo, e dono celeste ma caduco a noi mortali! Addio rugiadose aurore, sfavillanti di sorrisi e di promesse, annuvolate soltanto dai bei colori delle illusioni! Addio tramonti sereni, contemplati oziosamente dal margine ombroso del ruscello, o dal balcone fiorito dell’amante! Addio vergine luna, inspiratrice della vaga melanconia e dei poetici amori, tu che semplice scherzi col capo ricciutello dei bambini, e vezzeggi innamorata le pensose pupille dei giovani! Passa l’alba della vita come l’alba d’un giorno; e le notturne lagrime del cielo si convertono nell’immensa natura in umori turbolenti e vitali. Non più ozio ma lavoro, non più bellezza ma attività; non più immaginazione e pace, ma verità e battaglia. Il sole ci risveglia ai gravi pensieri, alle opere affaticate, alle lunghe e vane speranze, egli s’asconde la sera lasciandoci non breve e desiderato premio d’obblio. La luna ascende allora la curva stellata del cielo, e diffonde sulle notti insonni un velo azzurrino e vaporoso, tessuto di luce, di mestizia, di rimembranze e di sconforto. Sopraggiungono gli anni sempre più torvi ed accigliati, come padroni malcontenti dei servi; sembrano vecchi cadenti all’aspetto, e più son