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522 le confessioni d’un ottuagenario.

piatto per mezzo della serva. Confesso la verità che negli anni antecedenti quei due stampi singolari mi erano oltremodo antipatici, e durava fatica a sopportarli pensando di qual sangue erano; ma mano a mano che i tempi minacciavano scuri e temporaleschi mi riappaciava con loro, e serbava la mia bile contro la gente che li circondava. Là si vide il doppio intento d’una condotta e d’un modo di pensare che pareva uguale, ed era tutt’altro: l’Ormenta, i Cisterna e i loro satelliti pensavano all’utile proprio, alla sicura comodità della vita sotto la scusa della gloria di Dio; Rinaldo e la Clara operavano per la gloria di Dio in tutto e per tutto, e la sostanza, i comodi, la vita, avrebbero sacrificato allegramente per quel santissimo scopo. Gli è vero forse che anche la gloria di Dio la intendevano assai diversamente tra fratello e sorella, ma ad ogni modo nelle azioni e nell’opinioni loro uno scopo ideale c’era; e picchiavano anch’essi le mani, e si univano al generale entusiasmo, mentre il dottor Ormenta guardava sospettoso dalla finestra, e mandava il canchero nel cuore a quei maledetti gridatori. Tuttavia all’occasione gridava quant’ogni altra buona gola, e non si faceva grattar la pancia come le cicale.

Mio figlio intanto era andato inzaccherandosi sempre più in sì trista compagnia: e per quanto mi studiassi di sollevargli la mente dalle cose basse e materiali, e di tenergli viva la gioventù dello spirito, egli non mi badava più che tanto e mi pareva più vecchio lui a ventidue anni che non fossi io a settanta. Più anche mi studiava di volgerlo a sentimenti forti e generosi in quegli ultimi anni, quando m’accorgeva delle vicende che ci pendevano sopra, e sentendomi già poco meno che decrepito, l’avrei dovuto lasciare senza guida nei momenti in cui più forse ne avrebbe abbisognato. Ma il sozzo dolciume dei vizii gli aveva troppo guasto il palato, e quei pervertitori della