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542 le confessioni d’un ottuagenario.

qualche cordiale mi calmarono in modo che verso l’alba riebbi l’uso della parola; e allora con quell’indifferenza che seppi maggiore, accagionai del mio male le fatiche esorbitanti del giorno prima, e aggiunsi che avea ricevuto notizie di Giulio, e ch’egli era partito da Venezia per affari di qualche momento. Mia moglie mi credette, o finse credermi: ma verso mezzogiorno essendo capitata una lettera da Padova coi caratteri di Giulio, essa l’aperse a mia insaputa, la lesse, e capitò poi nella mia camera con quel foglio in mano, gridando come una forsennata che le avevano ammazzato un altro figlio, che certo lo avrebbero ammazzato!... La Pisana, che in quei frangenti dimostrò assai maggior cuore che io non m’aspettassi, si mise intorno a sua madre, e poichè s’accorse che vaneggiava chiamò la cameriera, e la posero a letto anche lei. Poi dal capezzale di sua madre a quello del padre la vispa fanciulla fu per due buone settimane la più assidua e affettuosa infermiera che si potesse immaginare. Aveva torto a dire che l’amore è maestro di tutto; anche le disgrazie insegnano assai. La lettera di Giulio era del seguente tenore.

«Padre mio!

»Tu avevi ragione: contro dieci, contro venti si può ribattere un insulto, non contro una moltitudine; e vi sono certi momenti nella vita d’un popolo che ne rendono terribili i decreti. Io portai la pena della mia albagia, e del mio sconsiderato disprezzo. Non potrò più vivere in quella patria che tanto amava, benchè disperassi di vederla risorgere; essa si vendica del mio codardo abbattimento respingendomi dal suo seno, appunto nell’istante che si raccoglie d’intorno tutti i suoi figliuoli a trionfo e a difesa. Padre mio, tu approverai, credo, la deliberazione d’un infelice che vuol ricomperare col proprio sangue la stima de’ suoi fratelli. Vado a combattere, a