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564 le confessioni d’un ottuagenario.

non una speranza. Dove si accenda la prima miccia io volerò colla mia carabina: non affretterò mai lo scoppio ma farò mio il pericolo.

Qui alcuni esuli delle provincie venete, compagni di scuola o di stravizzo, credettero riconoscermi. Ghignarono fra loro senza peraltro affrontarmi; ma al giorno dopo li rividi, e diedero segnali piuttosto di stupore d’ammirazione che di sprezzo. Pareva che avessero indovinato il mio disegno, e lo rispettassero. Seppi dappoi che aveano chiesto di me ad alcuni commilitoni, i quali avevano detto loro il nome col quale mi conoscevano, e fatta ampia testimonianza del valore dimostrato nelle fazioni montane del Tirolo e del Varesotto. Lì fra quei profughi era sorto un diverbio; chè alcuni affermavano ch’io era Giulio Altoviti ed altri no; e taluno dei primi mormorava della dubbiezza della mia fede, e dell’obliqua condotta, ma i miei compagni d’arme sorsero fieramente a difendermi, dicendo che Altoviti o Gianni, io era per fermo un valoroso soldato, un uomo integro e leale.

Giuseppe Minotto, uno di quei veneziani, approvò le parole di questi e persuase ai suoi, che se io aveva scelto quella via per rintegrarmi nella stima de’ miei concittadini, bisognava sapermene grado, e che l’aver io risposto all’insulto con imprese forti e magnanime, era già validissimo indizio a ritenermi innocente. Io ringrazio questo generoso, a me appena noto per figura, di aver innalzato la voce a difendermi fra molti che, pochi mesi fa, mi si professavano amici. Infatti le sue parole poterono assai, e ad esse devo il guardingo ma nobile rispetto di cui son ora circondato. Cercherò di rendermene degno, e saprò grado alla Provvidenza di questi primi conforti ch’ella mi porge a proseguire animoso il mio intento.

Due giovani Partistagno, che hanno combattuto valorosamente a Vicenza nell’aprile decorso, erano il primo