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568 le confessioni d’un ottuagenario.

Da dieci giorni i Francesi hanno aperta la trincea contro San Pancrazio. Gli assalitori ingrossavano sempre più; ma jersera s’interpose una specie di tregua, e i nostri ne approfittarono per dar riposo ai soldati: soltanto una mezza coorte custodiva, disposta in catena, quel tratto minacciato dei bastioni; io stava in guardia dietro una gabbionata costrutta pochi giorni innanzi, e già ridotta a mucchi dal tempestar delle bombe. La notte era profonda; e si vedevano da lontano i fuochi del campo d’Oudinot. Tutto ad un tratto io sentii giù nel fosso uno scalpitar di pedate, pareva che le scolte sonnecchiassero, giacchè non diedero alcun segno; io gridai all’armi!, e prima che mi venisse intorno una dozzina di legionari, già una colonna di cacciatori francesi guadagnava per la breccia il sommo del bastione. Mi ricordai di Manlio, e solo colla mia bajonetta ributtai i primi; l’altura della posizione mi favoriva, e fors’anco il comando che avevano gli assalitori di non sparare se non si fossero prima stabiliti sul bastione.

Infatti essi non potevano offendermi di punta dal sotto in su, e indietreggiando misero qualche scompiglio nella prima fila che disordinò del pari la seconda. Credevano forse che un maggior numero di difensori guernisse il muro, e vi fu un istante ch’io credetti d’aver bastato da solo a sgominare l’assalto. Ma in quella l’officiale che comandava la fazione, come spazientito del timore de’ suoi, balzò innanzi e giunse sul bastione, gridando e incoraggiandoli colla spada sguainata; gli altri ripresero animo e lo seguirono tosto.

Io non sapeva che fare; tornai a urlare: all’armi! all’armi!, con quanto fiato aveva in corpo, e mentre alcuni legionari accorsi al grido si opponevano all’irruzione della colonna, io mi slanciai sull’officiale, e prima che avesse tempo di adoperare la sciabola lo disarmai; egli aveva alla cintola una pistola, me ne scaricò un colpo a