Pagina:Le confessioni di un ottuagenario II.djvu/578

Da Wikisource.
570 le confessioni d’un ottuagenario.

che se gli ufficiali non li trattenevano avrebbero rotte le ordinanze per abbracciarmi, e vidi dentro a molti occhi, avvezzi a sostenere fieramente il fuoco delle archibugiate, luccicar qualche lagrima. Ricompostosi l’ordine e fatto silenzio, il capitano, dopo essersi consultato col generale riprese con voce commossa, che la patria si gloriava d’un figliuolo che si vendicava degli insulti tanto nobilmente, che mi additava per esempio onde le discordie nostre ricadessero a peggior danno dei nemici, e che in premio della mia generosa costanza, mi creava ajutante di campo del generale Garibaldi col titolo di capitano.

Un nuovo applauso dei miei commilitoni approvò pienamente questa ricompensa; e poi fu sciolta la rassegna, e marciando verso la caserma io seguitai a piangere come un fanciullo, e parecchi di quei prodi piansero con me. Indi a poco sopraggiunsero a intenerirmi più che mai le proteste e le preghiere di quei giovani padovani, che si disperavano di non avermi conosciuto prima, e supplicavano di esser perdonati della loro diffidenza. Questo fu il premio più dolce che mi ebbi, e lo palesai loro abbracciandoli uno per uno. La festa di tutta la legione, l’ammirazione dei compagni, l’affetto dei superiori, le lodi d’una città intera mi provarono che non è mai chiuso il varco a riconquistare la pubblica stima colla costanza dei sacrifizi, e che le imprese veramente nobili e generose non ispirate nè da furore nè da superbia, ammutoliscono l’invidia e trovano ossequio nel mondo. Oh sarebbe così dunque, se questa calunniata umanità fosse così vile, così perversa come taluni ce la descrivono e come io la credeva! Costretto ad accettar la sua stima come ricompensa, io vergognai fra me di averla disprezzata senza cognizione di causa, e conobbi che la mia penitenza non era stata soverchia per un sì grave peccato.