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LE CONFESSIONI D’UN OTTUAGENARIO.




CAPITOLO DECIMOPRIMO.


Come a Venezia si accorgessero che gli Stati della Serenissima facevano parte dell’Italia e del mondo. — Mio ingresso nel Maggior Consiglio come patrizio veneziano al dì primo di maggio 1797. — Macchinazioni contro il governo fomentate dagli amici e dai nemici della patria. — Cade la Repubblica di San Marco come il gigante di Nabucco, ed io divento segretario della Nuova Municipalità.


La prima persona che vidi e che abbracciai a Venezia fu la Pisana; la prima che mi parlò fu la signora contessa, la quale dal fondo dell’appartamento correndo verso di me s’affaccendava a gridarmi: — Bravo il mio Carlino, bravo!... Come ti vedo volentieri!... Su dunque, un bel bacione da vero nipote!... — Io passai di malissima voglia dai baci della Pisana a quelli della contessa, ancor più gialla e uncinata che per l’addietro. Ma anche in quel tumulto di affetti che mi turbava allora, rimase un buon cantuccio per la meraviglia d’un sì inusato accoglimento. Mi rassegnai a chiarirmene in seguito, e intanto la contessa mandò fuori la Rosa in cerca di mio padre. Questa missione della fida cameriera mi sorprese anche un poco, tanto più che essa non più giovane ma sempre bisbetica com’era stata, vi si disponeva con assai borbottamenti. Tali incarichi appartenevano agli staffieri; e cominciai a dubitare che il seguito della contessa non fosse molto numeroso. Infatti stando lì

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