Pagina:Le mie prigioni.djvu/310

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I chirurgi vennero alfine: erano due. Uno, quello ordinario della casa, cioè il nostro barbiere, ed egli, quando occorrevano operazioni, aveva il diritto di farle di sua mano, e non volea cederne l’onore ad altri. L’altro era un giovane chirurgo, allievo della scuola di Vienna, e già godente fama di molta abilità. Questi, mandato dal governatore per assistere all’operazione e dirigerla, avrebbe voluto farla egli stesso, ma gli convenne contentarsi di vegliare all’esecuzione.

Il malato fu seduto sulla sponda del letto colle gambe giù: io lo tenea fra le mie braccia. Al di sopra del ginocchio, dove la coscia cominciava ad esser sana, fu stretto un legaccio, segno del giro che dovea fare il coltello. Il vecchio chirurgo tagliò tutto intorno, la profondità d’un dito; poi tirò in su la pelle tagliata, e continuò il taglio sui muscoli scorticati. Il sangue fluiva a torrenti dalle arterie, ma queste vennero tosto legate con filo di seta. Per ultimo, si segò l’osso.

Maroncelli non mise un grido. Quando vide che gli portavano via la gamba tagliata, le diede un’occhiata di compassione, poi, voltosi al chirurgo operatore gli disse: