Pagina:Le mie prigioni.djvu/342

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Capo XCVII.

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La mattina del 10 settembre abbracciai il mio eccellente commissario, e partii. Ci conoscevamo solamente da un mese, e mi pareva un amico di molti anni. L’anima sua, piena di sentimento del bello e dell’onesto, non era investigatrice, non era artifiziosa; non perchè non potesse avere l’ingegno di esserlo, ma per quell’amore di nobile semplicità ch’è negli uomini retti.

Taluno, durante il viaggio, in un luogo dove c’eravamo fermati, mi disse ascosamente: — Guardatevi di quell’angelo custode; se non fosse di quei neri, non ve l’avrebbero dato.

— Eppur v’ingannate, gli dissi; ho la più intima persuasione che v’ingannate.

— I più astuti, riprese quegli, sono coloro che appaiono più semplici.

— Se così fosse, non bisognerebbe mai credere alla virtù d’alcuno.

— Vi son certi posti sociali, ove può esservi molta elevata educazione per le maniere, ma non virtù! non virtù! non virtù! —