Pagina:Le mie prigioni.djvu/57

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Capo XV.

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Due giorni appresso, mio padre tornò. Io aveva dormito bene la notte, ed era senza febbre. Mi ricomposi a disinvolte e liete maniere, e niuno dubitò di ciò che il mio cuore avesse sofferto e soffrisse ancora.

— Confido, mi disse il padre, che fra pochi giorni sarai mandato a Torino. Già t’abbiamo apparecchiata la stanza, e t’aspettiamo con grande ansietà. I miei doveri d’impiego mi obbligano a ripartire. Procura, te ne prego, procura di raggiungermi presto. —

La sua tenera e melanconica amorevolezza mi squarciava l’anima. Il fingere mi pareva comandato da pietà, eppure io fingeva con una specie di rimorso. Non sarebbe stata cosa più degna di mio padre e di me, s’io gli avessi detto: — Probabilmente non ci vedremo più in questo mondo! Separiamoci da uomini, senza mormorare, senza gemere; e ch’io oda pronunciare sul mio capo la paterna benedizione! —