Pagina:Le mille e una notti, 1852, I-II.djvu/148

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di vino, da un erbaiuolo, da una venditrice di melarance, di limoni e di cedri; dopo, da un mercante di amandorle, noci, nocciuole ed altri frutti; poscia da un confettiere e da un droghiere; da questo, colla mia cesta sul capo e carico quanto poteva mai esserlo, sono venuto fino a casa vostra, ove aveste la bontà di tollerarmi sin ora, grazia della quale mi ricorderò in eterno. Ecco la mia storia.

«Terminato ch’ebbe il facchino, Zobeide, soddisfatta, gli disse: — Vattene alla buon’ora, che non ti vediamo mai più. — Signora,» rispose il facchino, «vi supplico di permettermi di restare ancora. Non sarebbe giustizia che dopo aver dato agli altri il piacere d’udire la mia storia, io non avessi poi quello d’ascoltare la loro.» E sì dicendo sedè ad un capo del sofà, tutto contento d’essersi cavato d’un pericolo che tanto lo aveva spaventato. Dopo di lui uno dei tre calenderi prese la parola, e volgendosi a Zobeide, come alla principale delle tre dame, e quella che gli aveva comandato di parlare, così cominciò:


storia


DEL PRIMO CALENDERO FIGLIO DI RE.


«Signora, per manifestarvi perchè io abbia perduto l’occhio destro, e la ragione che mi costrinse a prender l’abito di calendero, vi dirò che nacqui figliuolo di re. Mio padre aveva un fratello che regnava come lui in uno stato vicino. Ebbe questi due figli, un principe ed una principessa; e il principe ed io eravamo all’incirca della medesima età. Compiti tutti i miei studi, e datami dal re mio padre una ragionevole libertà, io andava regolarmente ogni anno a far visita al re mio zio, e mi fermava alla sua corte un mese