Pagina:Le mille e una notti, 1852, I-II.djvu/105

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Terminando tali parole, accorta essendosi Scheherarade ch’era giorno, tralasciò di parlare. Dinarzade aveva ascoltato la sorella con gran piacere; e Schahriar trovava la storia del re delle Isole Nere sì degna della sua curiosità, che si alzò impazientissimo di udirne la continuazione la notte seguente.


NOTTE XXIII


Un’ora prima di giorno, svegliatasi Dinarzade, non mancò di pregare la sultana, sua diletta sorella, di continuare la storia del giovine re delle quattro Isole Nere. Scheherazade, ricordandosi subito ov’erasi fermata, la ripigliò di cotal guisa:

«Uscita che fu la regina mia moglie,» proseguì il re delle Isole Nere, «mi alzai, e vestitomi in fretta, presi la scimitarra, e la seguii sì da vicino, che presto la udii camminare poco a me davanti. Allora, regolando i miei su i suoi passi, procedetti pian piano per tema di essere scoperto. Passò ella per molte porte, che si aprirono in virtù di certe parole magiche da lei pronunciate; l’ultima fu quella del giardino, nel quale entrò. Mi fermai a quella porta, onde non mi potesse scorgere mentre attraversava un’aiuola; ed accompagnandola cogli occhi per quanto permettevalo l’oscurità, notai che entrava in un boschetto, i cui viali erano fiancheggiati da foltissime siepi. Mi vi recai per un’altra via; e appiattatomi dietro la siepe lungo un viale, la vidi passeggiare insieme ad un uomo.

«Non mancai di prestare attento orecchio ai loro discorsi, ed ecco che cosa intesi. — Io non merito,» diceva la regina al suo amante, «il rimprovero che mi fate di non essere abbastanza sollecita; a voi è ben nota la ragione che me lo impedisce. Ma se tutti i contrassegni d’amore che v’ho dati finora, non