Pagina:Le mille e una notti, 1852, I-II.djvu/116

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«Frattanto tornò la maga al palazzo delle Lagrime, ed entratavi, credendo sempre di parlare al Negro: — Caro amante,» gli disse, «ho fatto tutto ciò che mi hai prescritto: nulla or t’impedisce di alzarti, e darmi di tal guisa una soddisfazione di cui son priva da tanto tempo.

«Continuando il sultano a contraffare il linguaggio de’ Negri, così le rispose con duro accento: — Ciò che hai fatto non basta per guarirmi: non levasti che una parte del male; bisogna estirparne la radice. — Moro,» gli rispos’ella, «che cosa intendi tu per radice? — Sciagurata,» ripigliò il sultano, «non comprendi che voglio parlare di questa città e de’ suoi abitanti, e delle quattro isole da’ tuoi incantesimi distrutte? Ogni dì, a mezzanotte, non mancano i pesci di alzare la testa fuor dello stagno; gridando vendetta contro di noi due. Ecco il vero motivo del ritardo della mia guarigione. Va immediatamente a ristabilire le cose nell’antica loro condizione, e al tuo ritorno ti porgerò la mano, e m’aiuterai ad alzarmi.

«Piena la maga della speranza che tai detti le ispirarono, sclamò trasportata dalla gioia: — Cuor mio, anima mia, ricupererai in breve la salute, chè io corro a far sul momento quanto m’imponi.» In fatti partì all’istante, e giunta alla sponda dello stagno, prese un po’ d’acqua nel cavo della mano, vi fe’ sopra un’aspersione...»

Qui Scheherazade, vedendo ch’era giorno, cessò di parlare. Dinarzade disse alla sultana: — Sorella, quanto godo di sapere sciolto dall’incanto il giovane re delle quattro Isole Nere, e già considero come ristabiliti nel primiero stato la città ed i suoi abitanti; ma m’interessa sapere la sorte della maga. — Abbi un po’ di pazienza,» rispose la sultana; «domani avrai la soddisfazione che desideri, se il sultano, mio