Pagina:Le mille e una notti, 1852, I-II.djvu/139

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braccia incrociate.» In fatti, poco dopo si vide comparire Amina con una sedia che pose in mezzo alla sala; andata poi all’uscio d’un gabinetto, ed apertolo, fe’ segno al facchino di accostarsi: — Venite qui,» gli disse, «aiutatemi.» Obbedì esso, ed entrato con lei, ne uscì tosto, seguito da due cagne nere, che sembravano state maltrattate a colpi di scudiscio, ciascuna delle quali aveva un collare attaccato ad una catena ch’ei teneva, e con esse s’inoltrò in mezzo alla sala.

«Allora Zobeide, che stava seduta fra i calenderi e il califfo, si alzò, e andò gravemente fin dove stava il facchino. — Suvvia,» disse mandando un gran sospiro, «facciamo il nostro dovere.» Snudò il braccio fino al gomito, e presa una frusta, che Safia le presentò: — Facchino,» soggiunse, «consegnate una di quelle cagne a mia sorella Amina, e con l’altra avvicinatevi.

«Obbedì il facchino, e quando fu presso a Zobeide, la cagna che conduceva cominciò a guaire, e si volse a Zobeide alzando in modo supplichevole la testa. Ma la dama, senza aver riguardo al mesto contegno della cagna che faceva pietà, nè a’ suoi urli che riempivano tutta la casa, la battè finch’ebbe fiato, e quando le mancarono le forze, gettò la frusta per terra; poi levando di mano al facchino la catena, alzò la cagna per le zampe, e mettendosi ambedue a guardarsi reciprocamente in aria triste e pietosa, piansero l’una e l’altra. Infine Zobeide, cavato il fazzoletto, asciugò le lagrime della cagna, la baciò, e riconsegnando la catena al facchino: — Andate,» gli disse, «riconducetela ove l’avete presa, e recatemi l’altra.» Il facchino ricondusse la cagna frustata nel gabinetto, e tornatone, prese l’altra dalle mani di Amina, e la presentò a Zobeide, che l’aspettava. — Tenetela come la prima,» disse al facchino; e ripigliato lo scudiscio, la maltrattò