Pagina:Le mille e una notti, 1852, I-II.djvu/144

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dogli sottovoce: — Sire,» proseguì, «la notte è quasi al suo termine; abbia dunque vostra maestà un po’ di sofferenza. Verrò domattina a prendere queste dame, le condurrò al vostro cospetto, e da esse saprete tutto ciò che desiderate.» Sebbene giudiziosissimo fosse il consiglio, il califfo lo rifiutò, ed impose silenzio al visir, dicendogli di non poter attendere tanto tempo, e che pretendeva aver sul momento i bramati schiarimenti. Non trattavasi dunque più che di sapere chi comincerebbe ad aprir labbro. Tentò il califfo d’indurre i calenderi a parlare pei primi, ma essi se ne schermirono. Infine convennero tutti d’incaricarne il facchino. Si preparava questi a far l’interrogazione fatale, quando Zobeide, dopo aver soccorsa Amina, già rimessa dal suo svenimento, si accostò, ed avendoli uditi parlar forte e con calore, lor disse: — Signori, di che parlate? qual è il soggetto della vostra contestazione?» Allora il facchino: — Mia bella dama,» tosto le rispose, «questi signori vi supplicano di voler loro spiegare perchè, dopo aver maltrattato le vostre due cagne, avete pianto con esse, e d’onde avviene che la dama svenuta abbia il seno coperto di cicatrici. Questo è ciò che fui incaricato di chiedervi da parte loro.» Zobeide, a tali accenti, prese un fiero aspetto, e voltasi verso il califfo, i suoi compagni ed i calenderi: — È vero, signori,» chiese, «che voi l’avete incaricato di farmi tale domanda?» Tutti affermarono, tranne il visir Giafar, che non disse parola. Alla qual confessione, la donna disse con voce che dimostrava quanto ne fosse offesa: — Quando vi concedemmo la grazia che ci richiedeste di accogliervi sotto il nostro tetto, onde prevenire ogni motivo di essere malcontente di voi, essendo noi solo, lo abbiam fatto coll’espressa condizione di non parlare di quanto non vi risguardasse, per non udir cose che potessero spiacervi. Dopo avervi