Pagina:Le mille e una notti, 1852, I-II.djvu/161

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Scheherazade a questo passo vide il giorno, e ne avvisò il sultano, che tosto si alzò; ed ansioso di sapere ciò che accadrebbe tra i cinquanta cavalieri e l’ambasciatore delle Indie, il principe aspettò la notte successiva con impazienza.


NOTTE XLI


Era ormai quasi giorno, allorchè Scheherazade riprese la storia del secondo calendero in questi sensi:

— «Signora,» proseguì il calendero, parlando sempre a Zobeide, «siccome avevamo con noi dieci cavalli carichi del nostro bagaglio e dei donativi che in nome del re mio padre io doveva fare al sultano delle Indie, ed eravamo in pochi, ben comprenderete che i ladroni non mancarono di venirci arditamente incontro; non essendo in istato di respingere la forza colla forza, dicemmo loro che eravamo ambasciadori del sultano delle Indie, e speravamo nulla tenterebbero contro il rispetto che gli dovevano. Credemmo di salvare così i nostri equipaggi e la vita; ma i malandrini ci risposero con insolenza: — Perchè vorreste che rispettassimo il sultano vostro padrone? Noi non siamo suoi sudditi, nè ci troviamo neppure sulle sue terre.» Sì dicendo, ci attaccarono: io mi difesi il meglio che potei; ma sentendomi ferito, e visto che l’ambasciatore e la gente della scorta erano stati gettati a terra, approfittai delle poche forze del mio cavallo, anch’esso ferito, per allontanarmi. Lo spinsi finchè potè portarmi, ma mancatomi esso sotto d’improvviso, cadde morto di stanchezza e del sangue perduto. Me ne sbarazzai prontamente, ed osservando che nessuno m’inseguiva, pensai che gli assassini non avessero voluto allontanarsi dal fatto bottino.»


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