Pagina:Le mille e una notti, 1852, I-II.djvu/172

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bene,» disse il genio, sguainando una sciabola e presentandola alla donna; «se mai nol vedesti, prendi questa scimitarra e troncagli il capo. — Ahi!» sclamò la principessa; «come potrei eseguire questo crudel comando? Le mie forze sono estenuate in modo, che non potrei alzare un braccio; e quando pur il potessi, come avrei il coraggio di dare la morte ad un uomo che non conosco, ad un innocente? — Cotesto rifiuto,» disse allora il genio alla principessa, «mi fa conoscere tutta la tua reità.» Poscia, volgendosi verso di me: «E tu,» mi disse, «non la conosci?

«Sarei stato il più ingrato e perfido degli uomini, se non avessi avuto per la principessa la medesima fedeltà ch’ella serbava per me, che pur era la causa de’ suoi mali. Laonde risposi al genio: — Come dovrei conoscerla, se non l’ho mai veduta prima d’ora? — Se così è,» ripigliò egli, «prendi questa sciabola e tagliale la testa. A questo solo prezzo ti rimetterò in libertà, e sarò convinto di quanto mi assicuri. — Assai volentieri,» rispos’io. Presi dalle sue mani la scimitarra....

— Ma, sire,» disse Scheherazade fermandosi, «è già giorno, e non devo abusare della tolleranza di vostra maestà. — Sono maravigliosi avvenimenti,» disse fra sè il sultano; «vedremo domani se il principe ebbe la crudeltà di obbedire al genio.»


NOTTE XLVI


Sul finire della notte, Scheherazade, per soddisfare all’impazienza di Dinarzade, le disse: — Ecco come il secondo calendero proseguì il suo racconto:

«Non crediate, o signora, che mi avvicinassi alla bella principessa dell’isola d’Ebano per obbedire al barbaro ordine del genio, ma io lo feci al solo fine