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piccoli sofà cilestri, servibili tanto per sedere e riposarvi il giorno, quanto per dormire la notte. In mezzo al cerchio stava un undecimo sofà meno alto, ma dello stesso colore, sul quale si adagiò il vecchio di cui ho parlato; ed i giovani signori sedettero sui dieci altri.

«Siccome ogni sofà conteneva una sola persona, uno di que’ giovani mi disse: — Camerata, sedete sul tappeto di mezzo, e non vogliate informarvi di checchessia ci risguardi, e nemmeno del motivo per cui siamo tutti guerci dell’occhio destro: contentatevi di vedere, e non ispingete più oltre la vostra curiosità.

«Non istette il vecchio a lungo seduto, ma alzatosi, uscì, e tornò pochi momenti dopo, recando da cena ai dieci signori, a ciascuno dei quali distribuì la sua porzione; io pure fui servito, e mangiai da solo ad esempio degli altri; al finire del pasto, lo stesso vecchio ci presentò una tazza di vino per ciascuno.

«La mia storia intanto era parsa loro sì straordinaria, che dopo la cena me la fecero ripetere, ed essa diè luogo ad un colloquio che durò gran parte della notte. Uno di loro, riflettendo ch’era tardi, disse al vecchio: — Voi vedete ch’è tempo di dormire, e non ci portate da soddisfare al nostro dovere?» A tai detti il vecchio si alzò, ed entrato in un gabinetto, ne riportò sul capo, un dopo l’altro, dieci catini tutti coperti di stoffa turchina, e ne pose uno davanti a ciascuno di que’ giovani insieme ad una fiaccola.

«Scoprirono essi i catini, nei quali eravi un pugno di cenere, carbone in polvere e nero di fumo, e mescolate tutte queste cose insieme, cominciarono a fregarsi ed impiastrarsene il volto, diventando così orribili a vedersi. Anneriti di tal guisa, si misero a piangere, a lamentarsi, a battere la testa ed il petto, gridando di continuo: — Ecco il frutto del nostro ozio e de’ nostri stravizzi.


Mille ed una Notti. I. 13