Pagina:Le mille e una notti, 1852, I-II.djvu/218

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« In faccia scorsi una porta aperta, varcata la quale entrai in una gran sala ove stavano sedute quaranta giovani dame di sì incantevole beltà, da superare quanto di meglio sapesse creare l’immaginazione. Esse erano sfarzosamente abbigliate; s’alzarono insieme appena mi videro, e senza aspettare i miei complimenti, mi dissero con grandi dimostrazioni di allegrezza: — Valoroso signore, siate il ben venuto; » ed una fra l’altre, prendendo a parlare per tutte: — È molto tempo, » disse, « che attendevamo un cavaliere come voi. Il vostro aspetto dimostra che avete tutte le buone qualità desiderabili, e speriamo non troverete la nostra compagnia disaggradevole, nè indegna di voi.

« Dopo molta resistenza da parte mia, mi astrinsero a sedere in un posto alquanto più alto dei loro, ed avendone esternato io qualche dispiacere: — È il vostro posto, » dissero esse; « siete da questo momento il nostro signore, padrone e giudice, e noi siamo tutte vostre schiave, pronte ad eseguire i vostri comandi.

« Niuna cosa al mondo, o signora, più mi sorprese della premura e sollecitudine di quelle giovani a rendermi tutti gl’immaginabili servigi. Una recò acqua calda e mi lavò i piedi; un’altra mi verso sulle mani acque odorose; queste portarono il necessario per farmi cangiar abiti; quelle ammannirono una colazione magnifica; altre finalmente si presentarono col bicchiere in mano per mescermi uno squisito vino; e tutto veniva eseguito senza confusione, con un ordine, un’unione mirabili, e maniere incantevoli. Bevvi e mangiai; essendosi quindi le dame disposte intorno a me, mi chiesero relazione del mio viaggio. Raccontai allora le mie avventure, che durarono fino al cader della notte. »

Essendosi Scheherazade fermata, sua sorella gliene chiese la ragione. — Non vedi ch’è giorno?» rispose