Pagina:Le mille e una notti, 1852, I-II.djvu/230

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fece venire ballerini e ballerine, con cantanti e suonatori. Il fracasso che facevamo, attirò la pattuglia, la quale arrestò parte della nostra compagnia. Noi, per buona fortuna, riuscimmo a fuggire; ma essendo già tardi, e chiusa la porta del caravanserraglio, non sapevamo ove rifugiarci. Il caso fe’ che passassimo per la vostra strada, ed udendo che vi si stava allegri, ci determinammo di bussare alla porta. Ecco, o signora, il conto che abbiamo a rendervi per obbedire agli ordini vostri.

«Zobeide, ascoltato quel discorso, sembrava esitante su quanto doveva fare. Del che accorgendosi i calendari, la supplicarono di avere pei tre mercanti di Mussul la medesima bontà per essi avuta. — Or bene,» disse la donna, «vi acconsento; voglio che tutti m’abbiate la medesima obbligazione. Vi fo grazia, ma colla condizione che uscirete subito da questa casa, andandovene ove più vi piacerà.» Dato da Zobeide tal ordine con accento che dinotava voler essere obbedita, il califfo, il visir, Mesrur, i tre calenderi ed il facchino uscirono senza fiatare, tenuti com’erano in freno dalla presenza dei sette schiavi armati. Quando furono fuori della casa, il califfo, senza darsi loro a conoscere, disse ai calenderi: — E voi, signori, che siete forestieri giunti da poco in questa città, da qual parte andrete adesso che non è ancora giorno? — Signore,» risposero, «è appunto quello che c’imbarazza. — Seguiteci,» ripigliò il califfo, «noi vi trarremo d’imbroglio.» Ciò detto, parlò così sottovoce al visir: «Conduceteli a casa vostra, e domattina me li presenterete; voglio far scrivere le loro storie, meritando esse di aver posto negli annali del mio regno.» Giafar condusse con lui i tre calenderi; il facchino se ne andò a casa sua, ed il califfo, accompagnato da Mesrur, tornò al palazzo, e coricatosi, non potè chiuder occhio, tanto aveva l’animo agitato dalle straordinarie cose vedute ed