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Pagina:Le mille e una notti, 1852, I-II.djvu/261

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rola, e volgendosi a Hindbad, che trattò da fratello, secondo l’uso degli Arabi, quando parlano tra loro familiarmente, gli chiese il suo nome e qual ne fosse la professione. — Signore,» rispose l’altro, «io mi chiamo Hindbad e fo il facchino. — Sono assai contento di vedervi,» ripigliò Sindbad, «e vi garantisco che anche la compagnia vi vede con egual piacere; ma desidererei sapere dalla vostra medesima bocca cosa dicevate poco fa in istrada.» Sindbad, prima di mettersi a tavola, aveva inteso tutto il suo monologo dalla finestra, e ciò fu il motivo che indotto lo aveva a farlo chiamare.

«A tal domanda, Hindbad, confuso, chinò la testa e rispose: — Signore, vi confesso che la mia stanchezza mi aveva posto di mal umore, cosicchè mi sfuggirono alcune indiscrete parole, che vi supplico di perdonarmi. — Oh! non crediate,» ripigliò Sindbad, «ch’io sia tanto ingiusto da serbarne rancore. Mi metto al vostro luogo; invece di rimproverarvi le vostre mormorazioni, vi compiango; ma bisogna ch’io vi tragga da un errore, in cui mi sembrate a mio riguardo. Voi v’immaginate di certo, che senza stenti e lavoro io abbia acquistato tutti gli agi ed il riposo di cui mi vedete godere: disingannatevi. Io non pervenni a condizione sì fortunata, se non dopo aver sofferto per molti anni tutti i travagli di corpo e di spirito che concepir possa l’immaginazione. Sì, signori,» soggiunse, volgendosi a tutta la compagnia, «posso accertarvi che questi travagli furono tanto straordinarii, da esser capaci di far passare agli uomini più avidi di ricchezze la fatal voglia di traversare i mari per acquistarle. Voi forse udiste confusamente parlare delle mie strane avventure e dei pericoli da me incorsi nei sette viaggi che feci sull’oceano, e poichè se ne presenta il destro, voglio farvene la relazione fedele: credo non vi dispiacerà di udirla.


Mille ed una Notti. I. 16