Pagina:Le mille e una notti, 1852, I-II.djvu/284

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e dell’onde, che ci gettarono or da una parte, ora dall’altra; quel giorno e la notte seguente passarono nella crudele incertezza del nostro destino; ma il giorno dopo ebbimo la ventura d’essere spinti verso un’isola, ove con grandissimo giubilo approdammo, e trovatevi frutta squisite, ci furono esso di gran soccorso per riparare le smarrite forze.

«A sera, addormentatici sulla spiaggia, venne a destarci lo strepito che un serpente, lungo come un palmizio, faceva colle sue scaglie strisciando per terra, ed il quale si trovò tanto a noi vicino, che inghiottì uno de’ miei compagni malgrado le grida e gli sforzi di quell’infelice per isbarazzarsi del mostro, che, scuotendolo a più riprese, lo schiacciò sul suolo e finì di trangugiarlo. Presi tosto la fuga coll’altro mio compagno, e benchè ne fossimo assai lontani, udimmo poco dopo uno strepito, il quale ci fe’ supporre che il serpente vomitasse le ossa dell’infelice da lui sorpreso; in fatti, le vedemmo il giorno successivo con orrore. — Oh Dio!» sclamai allora; «a quai perigli siamo esposti! ieri ci rallegravamo d’aver sottratta la vita alla crudeltà del gigante ed al furore dell’acque, ed eccoci ora caduti in un pericolo non meno terribile.

«Notammo, passeggiando, un grosso ed altissimo albero, sul quale ci proponemmo di passare la notte seguente, per metterci in sicurezza. Mangiammo alcuni frutti come il dì prima, ed al cadere della notte saliti sull’albero, non molto dopo udimmo il serpente, il quale, venuto fischiando sino appiè dell’albero sul quale stavamo, si arrampicò pel tronco, ed incontrando il mio compagno, situato più basso di me, l’inghiottì d’improvviso, e se ne andò.

«Io rimasi lassù fino a giorno, ed allora ne scesi più morto che vivo. In fatti, non poteva attendermi sorte diversa da quella de’ miei due compagni, e