Pagina:Le mille e una notti, 1852, I-II.djvu/288

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NOTTE LXXVIII


— Il capitano,» disse Sindbad, «attentamente consideratomi, mi riconobbe alfine. — Dio sia lodato,» esclamò abbracciandomi; «sono beato che la fortuna mi presenti il destro di riparare al mio errore. Ecco le vostre merci che ebbi sempre cura di conservare, negoziandole in tutti i porti ove mi sono fermato. Ve le restituisco coll’utile che ne ricavai.» Le presi, attestando al capitano la gratitudine che gli doveva.

«Dall’isola di Salahat ci recammo in un’altra, nella quale mi provvidi di chiodi di garofano, di cannella e di spezierie. Quando ne fummo lontani, vedemmo una tartaruga di ben venti cubiti di lunghezza e larghezza; notammo pure un pesce somigliante ad una vacca: aveva latte, ed è la sua pelle di tanta durezza, che se ne fanno scudi guerreschi. Un altro ancora ne vidi che aveva la forma ed il colore del cammello. Giunto finalmente, dopo lunga navigazione, a Balsora, di là tornai in questa città di Bagdad con tante ricchezze; che ne ignorava la quantità. Ne distribuii di nuovo gran parte ai poveri, ed aggiunsi altre terre a quelle che già possedeva. —

«Terminò così Sindbad la storia del suo terzo viaggio; fece quindi dare cento altri zecchini ad Hindbad, invitandolo al banchetto dell’indomani ed alla narrazione del quarto viaggio. Hindbad e la compagnia si ritirarono, e tornati il giorno appresso, Sindbad, sulla fine del pranzo, continuò di tal guisa le sue avventure: