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NOTTE LXXXIII


— Sindbad il navigatore,» diss’ella, «continuando a raccontare il suo quinto viaggio, proseguì in questi sensi:

«I mercadanti imbarcati sul mio bastimento, e ch’erano scesi a terra con me, spaccarono a colpi di scure l’uovo, e fattovi un buco, ne trassero a pezzi il pulcino del roc, e lo fecero arrostire, benchè io li avvertissi seriamente di non tocear l’uovo; ma non vollero ascoltarmi.

«Avevano appena finito il banchetto, che comparvero in aria, assai lontane da noi, due grandi nuvole. Il capitano, da me assoldato per guidare il naviglio, sapendo per esperienza cosa ciò significasse, gridò ch’erano i genitori del roc, e ci sollecitò tutti a tornar a bordo in fretta, ond’evitare il danno ch’egli prevedeva. Seguimmo con premura il suo consiglio, e mettemmo tosto alla vela.

«Intanto i due roc avvicinaronsi, mandando spaventose grida, cui raddoppiarono quando videro in qual condizione era stato posto l’uovo, e che più non v’era il loro figliuolo. Nell’idea di vendicarsi, ripigliarono il volo dalla parte ond’erano venuti, e sparvero per qualche tempo, mentre noi facevamo forza di vele per allontanarci, e prevenir la disgrazia che non mancò di accadere.

«Tornarono, ed osservammo che ciascuno teneva negli artigli un pezzo di roccia d’enorme grossezza. Quando furono precisamente al disopra del mio vascello, sostarono, e librandosi in aria, lasciò l’uno il masso che portava; ma per la destrezza del pilota a deviare con un colpo di timone la nave, cadde