Pagina:Le mille e una notti, 1852, I-II.djvu/374

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«Schemseddin Mohammed uscì per andarlo a cercare, ma invece di trovarlo, fu sommamente sorpreso d’incontrare il gobbo, il quale aveva la testa abbasso ed i piedi in alto, nella medesima situazione in cui lo aveva posto il genio. — Che vuol dir ciò?» gli diss’egli; «chi v’ha messo in questo stato?» Il gobbo, riconoscendo il visir, rispose: — Ah, ah! siete voi che volevate farmi sposare l’amante d’un bufalo, l’innamorata d’un genio villano? Non sarò vostro zimbello, e non me la ficcherete certo...»

Scheherazade qui s’interruppe vedendo i primi albori. Sebbene non fosse molto tempo che parlasse, non proseguì di più per quella notte; e all’indomani ripigliò così il seguito della sua narrazione:


NOTTE CVII


— Sire, il gran visir Giafar, continuando la sua storia:

«Schemseddin Mohammed,» disse, «credè che il gobbo delirasse quando lo udì parlare in quella guisa, e soggiunse: — Toglietevi di là; rimettetevi in piedi. — Me ne guarderò bene,» riprese il gobbo, «finchè non ispunti il sole. Sappiate che essendo qui venuto ier sera, mi comparve davanti un gatto nero, il quale diventò insensibilmente grosso come un bufalo; nè ho dimenticato quello che mi disse. Andatevene dunque pei fatti vostri, e lasciatemi.» Il visir, invece di andarsene, prese il gobbo pei piedi, e lo costrinse ad alzarsi. Allora costui uscì correndo a perdilena, senza mai volgersi indietro, e recatosi al palazzo, si fe’ presentare al sultano d’Egitto, e lo divertì assai raccontandogli il trattamento, ricevuto dal genio.