Pagina:Le mille e una notti, 1852, I-II.djvu/415

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poi dimorato dieci anni a Damasco. Se avessi effettivamente dormito stanotte con voi, non potrei esserne rimasto lontano sì a lungo, queste essendo due cose affatto opposte. Ditemi, di grazia, cosa debbo pensare: se il mio matrimonio con voi è un’illusione, oppure se è sogno la mia assenza? — Sì, signore,» rispose Fior di Bellezza, «avete di certo sognato d’essere stato a Damasco. — Non v’ha dunque nulla di più ridicolo,» gridò Bedreddin, dando in una grande risata. «Son certo, o signora, che cotesto sogno vi parrà assai divertente. Figuratevi, che credetti trovarmi alla porta di Damasco in camicia e mutande, come lo sono adesso; che entrai nella città in mezzo ai fischi della plebaglia, la quale mi seguiva insultandomi; che mi rifuggii presso un pasticciere, il quale, adottatomi, m’insegnò il suo mestiere e mi lasciò morendo tutti i suoi beni; che dopo la sua morte tenni la di lui bottega. In fine, signora, mi accadde un’infinità d’altre avventure, cui sarebbe troppo lungo raccontarvi; ciò che posso dirvi è, che non feci male a svegliarmi, poiché altrimenti stavano per inchiodarmi ad un palo. — E per qual motivo,» chiese Fior di Bellezza, fingendo stupore, «volevano trattarvi con tanta crudeltà? Bisognava che aveste commesso un enorme delitto. — Niente affatto,» rispose Bedreddin; «era anzi per la cosa più bizzarra e ridicola del mondo. Tutto il mio delitto consisteva nell’aver venduto una torta di crema, in cui non aveva messo pepe. — Ah! ah! se era per questo,» disse Fior di Bellezza, ridendo di tutto cuore, «fa d’uopo confessare che vi facevano un’orribile ingiustizia. — Oh, signora,» replicò egli, «nè ciò è tutto: per quella maledetta torta di crema, nella quale mi si rimproverava di non aver messo pepe, m’avevano rotta e fracassata ogni cosa nella bottega; e legatomi poi colle corde, mi chiusero in una cassa, ove stava in tal angustia