Pagina:Le mille e una notti, 1852, I-II.djvu/476

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sotto un albero di bellissima ombra, ed il giovane mi fece di tal guisa il racconto delle sue avventure:

«— lo sono nativo di Mussul, e la mia famiglia è una delle più ragguardevoli della città. Mio padre era il maggiore di dieci figliuoli, da mio avolo lasciati, morendo, tutti in vita e maritati. Ma fra tanto numero di fratelli, mio padre fu il solo che avesse figliuoli, ed anzi ebbe me soltanto. Preso quindi gran cura della mia educazione, e mi fece insegnare tutto quello che un figlio della mia condizione doveva conoscere....»

— Ma, sire,» disse Scheherazade, fermandosi, «l’aurora che sorge m’impone silenzio.» Ciò detto, tacque, ed il sultano si alzò.


NOTTE CLI


All’indomani, Scheherazade ripigliò il seguito del suo racconto. — Il medico ebreo,» diss’ella, «continuando a parlare al sultano di Casgar:

«— Il giovane di Mussul,» soggiunse, «proseguì di tal guisa la sua storia:

«Era già grande, e cominciava a frequentare la società, quando un venerdì mi trovai alla preghiera del mezzogiorno, con mio padre ed i miei zii, nella gran moschea di Mussul. Dopo la preghiera, tutti uscirono, tranne mio padre ed i miei zii, che sedettero sul tappeto disteso per tutta la moschea. Sedetti anch’io con loro; e parlando di varie cose, la conversazione venne insensibilmente a cadere sui viaggi. Vantarono essi la bellezza e le singolarità di alcuni regni e delle loro principali città; ma uno zio disse, che se doveasi credere alla relazione uniforme di molti viaggiatori, non c’era al mondo paese più bello