Pagina:Le mille e una notti, 1852, I-II.djvu/481

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NOTTE CLIII


— «Quando vidi,» disse il giovine di Mussul, «la dama entrare in casa, mi alzai, chiusi la porta, e la feci entrare in una sala, dove la pregai di sedere. — Signora,» le dissi, «ebbi una volta varie stoffe degne di esservi mostrate: ma ora non ne ho più, e ne sono dispiacentissimo.» Levò allora colei il velo che le copriva il volto, e fece risplendere ai miei occhi una bellezza, la cui vista mi fece sentire certi movimenti che non aveva per anco provati. — Non ho bisogno di stoffe,» mi rispos’ella; «vengo sol per vedervi e passare la sera con voi, se lo avete caro: non vi domando che una leggiera refezione. —

«Inebbriato di sì buona fortuna, diedi ordine ai miei servi di recare parecchie sorta di frutta ed alcune bottiglie di vino. Fummo subito serviti: messici a tavola, stemmo allegri fino a mezzanotte; in fine, non aveva ancor passata una notte sì piacevole come quella. L’indomani volli mettere in mano alla dama dieci scerifi, ma ella la ritirò bruscamente. — Non sono venuta a trovarvi spinta da interesse, e mi offendete. Ben lungi dal ricevere danaro da voi, voglio anzi che ne prendiate da me, altrimenti non vi rivedrò mai più.» Nel medesimo tempo cavò dalla borsa dieci scerifi, e mi costrinse a prenderli. — Aspettatemi fra tre giorni,» mi disse, «dopo il tramonto del sole.» E così congedatasi, io sentii che, partendo, ella m’involava il cuore.

«Scorsi i tre giorni, non mancò essa di comparire all’ora stabilita, ed io la ricevetti con tutto il giubilo d’un uomo che l’attendeva con impazienza. Passammo la sera e la notte come la prima volta; e il