Pagina:Le mille e una notti, 1852, I-II.djvu/484

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civiltà ad una dama che mi conduceste voi stessa, e cui tanto prediligete; potreste entrambe rimproverarmi di non saper fare gli onori di casa. —

«Continuammo a bere, e mano mano che il vino ci riscaldava, la nuova dama ed io ci provocavamo con sì poco riguardo, che la sua amica ne concepì una violenta gelosia, di cui ne diede in breve funesti segni. Si alzò costei ed uscì, dicendo di tornar subito; ma poco dopo la giovine rimasta con me cangiò colore, fu presa da forti spasimi, e finalmente esalò l’anima fra le mie braccia, mentr’io chiamava gente per aiutarmi a soccorrerla. Allora escii ratto, e chiesi dell’altra donna; i servitori mi dissero, che se n’era andata per la porta di strada. Sospettai quindi, e con ragione, essere stata colei la causa della morte dell’amica sua; infatti, aveva avuta la destrezza e la perfidia di mescere un veleno potentissimo nell’ultima tazza da lei medesima presentata.

«Vivamente afflitto di tale sciagura: Che cosa farò» dissi allora fra me. «Che sarà mai di me?» Siccome credetti non vi fosse tempo da perdere, feci levare dalla mia gente, al chiaror della luna e senza strepito, una delle lastre di marmo del cortile, e scavare in fretta una fossa, ove sotterrammo il cadavere della giovane dama. Rimesso che fu a suo luogo il marmo, presi un abito da viaggio, con quanto denaro aveva, e chiusi dappertutto, sino la porta della casa, che suggellai ed improntai col mio sigillo. Andai poscia a trovare il gioielliere che n’era proprietario; gli pagai quanto dovea d’affitto con un’annata di anticipazione, e dategli la chiave, lo pregai di custodirmela. — Un affare urgente,» gli dissi, «mi astringe ad assentarmi per qualche tempo; debbo andar a trovare i miei zii al Cairo.» Insomma, m’accommiatai da lui, e tosto montato a cavallo, partil co’ servi che mi aspettavano...»