Pagina:Le mille e una notti, 1852, I-II.djvu/50

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«Poco dopo videro per la campagna un vapore denso come un turbine di polvere sollevato dal vento. Quel vapore s’inoltrò fin presso a loro, e sciogliendosi d’improvviso, lasciò vedere il genio, il quale, senza salutarli, avvicinossi al mercadante colla scimitarra impugnata, e pigliatolo pel braccio: — Alzati,» disse, «ch’io ti possa uccidere, come tu hai ucciso il figliuol mio.» Il mercadante ed i tre vecchi si misero a piangere ed empire l’aria di lamenti...» Scheherazade, scorgendo qui che facevasi giorno, cessò dal continuare la sua novella; e questa aveva destato tanta curiosità nel sultano, che il principe, volendo assolutamente saperne la fine, differì ancora al giorno dopo la morte della sultana.

Non è adirsi la gioia del gran visir, quando vide che il monarca non ordinavagli di far morire Scheherazade: la famiglia di lui, la corte, e tutti in somma ne furono universalmente maravigliati.


NOTTE IV


Verso la fine della notte susseguente, Scheherazade, con licenza del sultano, parlò in questi termini:

«Sire, quando il vecchio che conduceva la cerva vide che il genio erasi impadronito del mercadante, e stava per ucciderlo spietatamente, gettossi a’ piedi del mostro, e gli disse: — Principe dei genii, io vi supplico umilmente di sospendere la vostra collera, e degnarvi d’ascoltarmi. Io vi narrerò la mia storia e quella di questa cerva che vedete: ma se voi la trovaste più maravigliosa e sorprendente dell’avventura del mercadante, cui volete toglier la vita, poss’io sperare che voi rimettiate a questo povero infelice la terza parte del suo misfatto?» Il genio stette alcun tempo deliberando, infine rispose: — Orsù, acconsento.