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Pagina:Le mille e una notti, 1852, I-II.djvu/509

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cuoio che portava alla cintola, e continuò a radermi, ma nel farlo non potè trattenersi dal parlare. — Se voleste, o signore,» mi disse, «istruirmi sulla qualità dell’affare che avete per mezzodì, vi darei qualche consiglio, del quale ridondar vi potrebbe alcun utile.» Per contentarlo, risposi che i miei amici mi aspettavano a pranzo per istar meco allegri, festeggiando così la mia ricuperata salute.

«Quando il barbiere udì parlare di pranzo: — Dio vi benedica in questo giorno come in tutti gli altri!» sclamò. «Mi fate rammentare che ieri invitai quattro o cinque amici a venire a desinar oggi da me; me lo era dimenticato, e non ho fatto ancora alcun preparativo. — Ciò non v’imbarazzi,» gli dissi; «benchè io vada a pranzo fuor di casa, la mia dispensa non per questo è sempre ben guarnita; vi faccio dono di tutto quello che vi si troverà: vi farò anche dar vino quanto ne vorrete, avendone di ottimo in cantina; ma bisogna finir di radermi, e ricordatevi che, invece che mio padre vi dava regali per sentirvi parlare, io ve ne do per obbligarvi al silenzio. —

«Colui non si contentò della mia parola. — Dio vi ricompenserà,» gridò, «della grazia che mi fate; ma mostratemi subito queste provvigioni, affinchè vegga se ci sarà da trattar bene gli amici: voglio che siano contenti del trattamento che farò loro. — Ho,» risposi, «un agnello, sei capponi, una dozzina di polli, e di che fare quattro tramessi.» Ordinai ad uno schiavo di recare il tutto sul momento, con quattro bei fiaschi di vino. — Ottimamente,» riprese il barbiere; «ma mi occorrerebbero frutta e qualche condimento per la carne.» Gli feci ancor dare quanto domandava, ed egli cessò dal radermi per esaminare ad una ad una tutte quelle cose; e siccome tal esame durò quasi mezz’ora, io tempestava ed arrabbiava: