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NOTTE CLXIX


— «Ebbe mio fratello,» proseguì il barbiere, «molto lavoro per cinque o sei giorni onde fare venti camice al mugnaio, che gli mandò poi un’altra pezza di tela per farne altrettante mutande. Bacbuc le portò quindi bell’e finite al mugnaio, che domandò quanto gli dovesse per la sua fattura; mio fratello rispose si contenterebbe di venti dramme d‘argento. Il mugnaio chiamò tosto la schiava, e le disse di portargli le bilancette per vedere se le monete che stava per dargli fossero di giusto peso; ma la schiava, già istruita, guardò mio fratello con collera, onde fargli così comprendere che, ricevendo denaro, avrebbe tutto guastato. Se lo tenne egli per detto, e ricusò di prenderlo, benchè ne avesse bisogno, avendone tolto ad imprestito per comprar il filo, onde cucire le camice e le mutande; uscito di casa dal mugnaio, venne poi da me a pregarmi gli prestassi qualche cosa per vivere, dicendo che non lo pagavano. Gli diedi alcune monete che aveva nella borsa, e così sussistette per vari giorni; vero è che viveva di sola farinata, non mangiandone neppure a sufficenza.

«Un giorno entrò in casa del mugnaio, occupato in quel momento al suo mulino, ed il quale, credendo gli venisse a chiedere denaro, gliene offerse; ma la giovane schiava, allora presente, gli fe’ di nuovo un cenno, che gl’impedi di accettarne, facendolo invece rispondere al mugnaio, che non veniva per questo, ma sol per informarsi della sua salute. Lo ringraziò il mugnaio, e gli diè da fare un abito. Bacbuc glielo riportò il giorno dopo, ed il