Pagina:Le mille e una notti, 1852, I-II.djvu/545

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silenzio.» Tacque pertanto, e la notte seguente continuò a parlare al sultano delle Indie in questi termini:


NOTTE CLXXV


— Sire; il barbiere proseguì così la storia di Alcuz:

Io non mi trovava a Bagdad,» diss’egli, «quando accadde al quarto mio fratello quella tragica avventura, per la quale si ritirò in luogo remoto, ove rimase nascosto finchè fu guarito dalle bastonate, onde aveva lacerato il dorso. Quando si trovò in istato di camminare, si recò di notte, per istrade fuor di mano, in una città, in cui era sconosciuto a tutti e vi prese un'abitazione, da cui non usciva quasi mai, in fine, annoiato di vivere sempre in casa, andò a passeggiare in un sobborgo; ove udì d’improvviso dietro a sè grande strepito di cavalieri. Stava egli allora per caso vicino alla porta d’un palazzo; e poichè, dopo quanto eragli accaduto, temeva d’ogni cosa, fu colto dal timore che quei cavalieri non lo inseguissero per arrestarlo; pieno di tal pensiero, aprì la porta per nascondersi, e quindi rinchiusala, entrò in un ampio cortile, dove, appena comparso, vide corrersi incontro due servi, i quali, presolo pel collare: — Sia lodato Iddio,» dissero, «che venite a porvi da voi medesimo nelle nostre mani. Ci avete dato tanto fastidio queste tre ultime notti, da impedirci di dormire, e non ci risparmiaste la vita se non perchè abbiamo saputo guarentirci dal vostro malvagio disegno. —

«Potete figurarvi la sorpresa di mio fratello a quel discorso. — Buona gente,» disse loro, «io non so cosa vogliate da me, e di certo mi prendete per un altro. — No, no,» replicarono quelli, «non ignoriamo che voi ed i vostri compagni siete tanti malan-