Pagina:Le mille e una notti, 1852, I-II.djvu/658

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«Gli ufficiali del principe, ricevendolo, gli dissero che arrivava molto a proposito; che il principe, dacchè non lo aveva veduto, era in uno stato che dava motivo di temere della sua vita, e che non si poteva ricavarne una sola parola. Lo introdussero quindi, senza far rumore, nella di lui camera, ove lo trovò caricato nel letto, cogli occhi chiusi, ed in una condizione che lo mosse a pietà. Lo salutò toccandogli la mano, ed esortollo a farsi coraggio.

«Il principe di Persia conobbe essere il gioielliere che gli parlava, ed aperti gli occhi, lo guardò in modo da fargli comprendere la grandezza della sua afflizione, infinitamente maggiore di quella provata la prima volta che aveva veduto Schemselnihar. Gli prese e strinse la mano per indicargli la sua amicizia, e gli disse, con fievole accento, di essergli ben grato della pena che si dava venendo a trovare un uomo sì infelice ed afflitto com’egli era.

«— Principe,» rispose il gioielliere, «non parliamo, vi supplico, delle obbligazioni che potreste avermi; vorrei che i buoni uffici, cui ho procurato di rendervi, avessero avuto miglior esito. Parliamo piuttosto della vostra salute; nello stato in cui vi veggo, temo non vi lasciate abbattere da voi stesso, e non prendiate il necessario cibo per sostentare la vita. —

«I servi, che trovavansi intorno al principe loro padrone, colsero quell’occasione per dir al gioielliere che avevano immensa difficoltà a fargli prendere qualche cosa, e non volersi egli aiutare, essendo già molto tempo che non aveva preso nulla. Ciò indusse il gioielliere a supplicare il principe di permettere che la sua gente gli recasse qualche cibo, e di prenderne, e dopo grandi istanze, l’ottenne.

«Quando il principe di Persia ebbe, a persuasione del gioielliere, mangiato ben più che non avesse ancor fatto, comandò a suoi di lasciarlo solo con lui,